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Il caso Volvo e la deriva “leather-free” dei grandi Brand: il parere di UNIC

Intervista a Giacomo Zorzi, funzionario UNIC per il Veneto.

Ha fatto molto clamore (potremmo dire “orrore”) tra gli addetti del settore pelle, la forte presa di posizione “contro la pelle” della notissima casa automobilistica svedese Volvo e si temono altre svolte “leather-free” da parte dei grandi brand. Di grave però non c’è solo l’eliminazione della pelle dalla supply-chain dei veicoli elettrici di Volvo, ma le campagne di totale denigrazione della pelle, sostenute da argomenti errati, se non persino “ingannevoli, soprattutto quando portano a sostegno di simili scelte, argomenti come il “preservare il benessere animale”. E’ noto ormai che la pelle rientra a pieno titolo nell’ambito dell’economia circolare, essendo uno scarto dell’industria alimentare a cui la conceria dona nuova vita, con un processo di recupero di un prodotto, al 100% di origine organica, che altrimenti diverrebbe ennesimo scarto da smaltire.

In questi giorni, una delle voci che più “è girata” è stata anche la notizia di una diffida esercitata dai legali di UNIC. Di che si tratta? Qual’è la presa di posizione di UNIC, una delle più importanti associazioni a livello mondiale dell’industria conciaria?

Lo abbiamo chiesto a Giacomo Zorzi, funzionario di UNIC che opera nel distretto produttivo veneto, dirigendo l’ufficio che ha sede in Arzignano. Una lunga intervista… Ve ne proponiamo qui la prima parte.

Si parla di una diffida che UNIC avrebbe rivolto a Volvo. E’ stata veramente fatta un’azione diretta verso la casa automobilista? Ci spiega di cosa si tratta?

Non è così! Il tutto nasce da un articolo scritto da una testata che si chiama “Everyeye”, dal titolo “Volvo adotta la pelle vegana”. In applicazione alla legge 37 del 3 Maggio 2019, che come Unic abbiamo fortemente voluto e che rinnova una vecchia legge del 1966 stabilendo regole precise per poter utilizzare correttamente il termine “pelle”, siamo intervenuti contro l’editore. Non è possibile utilizzare espressioni tipo “pelle vegana”, “finta pelle”, “ecopelle” … quando non è vera pelle: sul mercato c’è un’esplosione di termini che associano alla parola “pelle” una caratteristica, una parola, o un aggettivo per ingannare il consumatore e imitare un prodotto così nobile. E oggi possiamo far valere anche un regime sanzionatorio. Io credo che negli ultimi anni ci siamo trovati a gestire quasi quotidianamente azioni a difesa dei termini corretti.

Lo scopo è soprattutto difendere il consumatore da messaggi ingannevoli. L’espressione “pelle vegana” non è solo un ossimoro che porta il consumatore a credere in messaggi sbagliati, ma rappresenta un danno per tutto il nostro settore.

Per UNIC quindi, questo “uso improprio” dei termini l’avrebbe fatto la rivista “Everyeye” o l’azione pubblicitaria di Volvo?

L’ha fatto la rivista…Volvo ha fatto una cosa diversa, leggermente più sottile, difficilmente attaccabile dal punto di vista formale. Il messaggio di Volvo è “100% elettrico, 0% pelle”, veicolando il concetto che ecologico significa senza pelle.

Al di là della scelta, libera sebbene discutibile, della loro strategia, non possiamo condividere il messaggio che se non c’è pelle è meglio, se non c’è pelle è più sostenibile, se non c’è pelle è più rispettoso dell’ambiente. Sono concetti che attraggono molto il consumatore, ma è necessario stare sempre attenti a non cadere nel falso. Il messaggio di lascia intendere una cosa sbagliata. Nel mondo esiste per esempio una percentuale molto significativa di persone che ritengono che bovini e ovini vengano allevati per la pelle: noi sappiamo che non è vero. Giocare su questa percezione del consumatore è ingannevole e correggere è sempre difficile. Ci vuole uno sforzo enorme, che richiede grandi investimenti non solo in termini di denaro, ma anche di progettazione, cosa che UNIC fa praticamente da sempre. E uno sforzo enorme che non si può pensare risolutivo con una singola azione o iniziativa. Richiede una presenza forte, costante e competente. La pelle è un materiale legato profondamente alla sfera emotiva. E’ questo un fattore di sicuro successo, ma allo stesso modo ci costringe ad affrontare sfide che con altri materiali non si presenterebbero così forti. Un prodotto in pelle suscita emozioni, piace e si utilizza al di là delle prestazioni del materiale, che comunque sono eccellenti, ma allo stesso tempo richiama molti temi (l’ambiente, l’etica, il rispetto degli animali) collegati alla sfera emotiva e che si è chiamati ad affrontare.

UNIC è consapevole che l’educazione dei consumatori sia un compito molto difficile. Loro non lavorano in questo settore o non vivono nei distretti conciari italiani, dove questi concetti sono radicati e quasi “ovvi”. Noi che viviamo di pelle ci diciamo cose che già sappiamo: il difficile è convincere gli altri.

Per quanto riguarda “Everyeye”, loro uscirono con un articolo utilizzando l’espressione “pelle vegana” e ne è derivata una diffida, in riferimento ad una norma di legge specifica. La nostra azione ha avuto successo tantè che leggendo quell’articolo oggi sul web l’espressione “pelle vegana” non compare più, è stata cambiata in leather-free.

Ma cosa fare quindi per contrastare il messaggio che questi brand stanno passando? Dire per esempio “leather-free per contribuire al benessere degli animali”, è un errore. Anche se non usassimo più la pelle, gli animali verrebbero lo stesso macellati dall’industria alimentare e a quel punto la pelle dovrebbe essere smaltita come rifiuto…

Immaginiamo, per assurdo, che tutte le concerie del mondo improvvisamente sparissero, cosa succederebbe? Ragionevolmente il numero degli animali macellati non calerebbe di una sola unità, perché lo scopo è produrre carne (e latte). Che ci siano le concerie o che non ci siano, non ci sarebbe nessun effetto perché 7 miliardi e mezzo (presto 10, dicono le proiezioni) di persone nel mondo, hanno bisogno della carne per vivere. E’ un ragionamento difficile da accettare con onestà da chi è radicale, ma è assolutamente una verità. A dirla tutta ci troveremmo con un grosso problema in più: recenti stime indicano come la conceria mondiale trasformi circa 8 milioni di tonnellate di pelli grezze. Se tali quantità andassero allora bruciate o smaltite in discarica, esse produrrebbero 5 milioni di tonnellate di gas serra! Come la mettiamo con la lotta al riscaldamento globale? Ma se loro sono radicali, noi non dobbiamo essere poco trasparenti: non esiste l’industria perfettamente green, nemmeno la conceria. Quello che dobbiamo cercare di fare è di gestire con responsabilità le attività ed i processi industriali al meglio possibile. E la conceria può con orgoglio raccontare di essere responsabile ed efficiente, capace di migliorarsi costantemente, con i fondamentali che perfettamente si adattano ai principi della economia circolare.

In tutte le nostre azioni non dobbiamo però dimenticare chi siamo:

UNIC è un’associazione di concerie. Da una parte ci attiviamo per mandare la lettera dell’avvocato al giornalista perché corregga le sue parole sbagliate, dall’altra costruiamo una relazione solida con i clienti per smontare le scelte (discutibili) quando frutto di una comunicazione eccessivamente semplificata.

La strada che da molti anni stiamo perseguendo è quella di fare educazione proprio presso i clienti. Noi abbiamo rapporti costanti con tutti i grandi brand per ogni settore di impiego della pelle. Facciamo educazione e informazione corretta a tutti quei soggetti che lavorano sul tema della sostenibilità e si apre un campo molto vasto: “Sostenibilità” è una parola abusata che ormai potrebbe sembrare svuotata. “Sostenibilità” è una condizione perfetta alla quale tutti possono tendere e contribuire a seconda del modo in cui scelgono di stare a questo mondo. Così come l’impatto zero non esiste, la sostenibilità perfetta non esiste. Noi cerchiamo di raccontare con trasparenza in che modo la pelle contribuisce al percorso verso la sostenibilità, e cerchiamo di fornire ai conciatori gli strumenti per misurare e raccontare il loro sforzo.  Detto questo, sostenibilità è una parola che ormai affascina tutti. Il mercato va con forza in quella direzione. Ma un racconto di sostenibilità deve essere vero, concreto e non fuorviante per chi lo ascolta. Il rischio di cadere nell’inconsistente e poi nell’inganno è fortissimo.

Che “armi” ha il settore conciario (e voi come UNIC) contro questo tipo di comunicazione errata?

Le armi non ci mancano. Il valore scientifico delle rilevazioni è essenziale, perché ci permette di partire da dati di realtà più forti. Offrire al mondo la giusta declinazione della “sostenibilità” della pelle è un altro passo essenziale: i clienti sono bravi a fare le scarpe e le borse, noi siamo bravi a fare la pelle. Noi dei distretti conciari conosciamo la pelle, i problemi che nascono dalla sua lavorazione, le soluzioni migliori per abbattere i rischi…

Quello che noi abbiamo fatto con “Everyeye” è una diffida a utilizzare un termine sbagliato e loro puntualmente lo hanno cambiato. Adesso quell’espressione non c’è più, l’obiettivo l’abbiamo raggiunto. Quello che invece faremo con Volvo, ma non solo, è una continua e convinta azione di sensibilizzazione, informazione ed educazione sulla reale considerazione di che cos’è la pelle. Non è facile, ma quella è la strada.

Qual è quindi la strada? Educare la gente, che è in fondo “il cliente”, o rivolgersi ai Brand?

Non esiste una strada sbagliata e una giusta in assoluto, tutte le strade hanno un loro valore. La nostra è sicuramente quella di mantenere un contatto stretto ed efficace con i Brand. Loro hanno una grande capacità di comunicare al consumatore. Che invece non conosce la conceria. Purtroppo, la conceria si trova in una posizione difficile: non ha gli strumenti per arrivare all’ultimo anello della filiera (a dirla tutta non ha nemmeno il potere di controllare ciò che sta a monte perché figlio di una filiera sulla quale non ha controllo: che si macelli di più o di meno, e quindi che ci siano più o meno pelli sul mercato, il conciatore può solo stare a guardare). Noi dobbiamo aiutarli non solo a far bene il loro lavoro, ma a trovare degli interlocutori che capiscano. Una conceria che ha tante richieste diverse quante sono le diverse declinazioni della sostenibilità per ciascuno dei suoi clienti, non può che essere in difficoltà.  E allora il gruppo UNIC assieme all’organismo di certificazione ICEC (Istituto di Certificazione della Qualità per l’Industria Conciaria), opera per dare risposta ad ogni diversa esigenza (informazioni sulla tracciabilità, animal welfare, responsabilità sociale, responsabilità ambientale, qualità del prodotto…).

ICEC è un po’ un “negozio” dove sono esposti tanti prodotti, progettati per rispondere e per gestire ogni specifica esigenza. La cosa che conta e che funziona è che dentro ICEC si possono trovare le soluzioni a molti dei problemi diversi che le concerie hanno. UNIC è attiva da oltre 50 anni, ICEC da 30 anni: conosciamo bene quello di cui hanno bisogno le concerie. Abbiamo messo a punto un gruppo in grado di costruire dei modelli gestionali e organizzativi che possono essere anche certificati, ma lo scopo è quello di dare la possibilità alla conceria di costruire l’organizzazione di cui il cliente ha bisogno.

Arriveremo ad un punto in cui il solo fatto di aver prodotto in Italia costituirà un vantaggio?

No, quantomeno non sarà sufficiente da solo. Il mondo cambia velocemente, ci saranno sempre esigenze nuove e i conciatori italiani dovranno adeguarsi perché se non lo fanno, gli altri arrivano prima. Il Made in Italy sarà sempre un valore, ma deve necessariamente essere affiancato da una elevatissima efficienza su tutti i fronti. Quello ambientale è più avvertito dalla gente, quindi quello su cui impegnarsi di più.

Presto online la seconda parte dell’Intervista a Giacomo Zorzi. Stay tuned!

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